La tua carriera da chef prende il via in ALMA. Quali ricordi della tua esperienza?
Ho solo bei ricordi di ALMA. Dai compagni di corso, poi divenuti colleghi, alla preparazione degli esami del Corso Base e Superiore, con nottate passate a casa, dopo i corsi, di fronte ad una lionese e centinaia di uova, cercando di preparare una perfetta omelette. Sono ricordi che rimarranno per sempre impressi nella mente e nel cuore, e che, ancora adesso, racconto con un sorriso ai commis appena usciti dalla Culinary School, di ogni paese in cui lavoro.
Nella tua bio affermi “la chiave dell’ospitalità è trattare gli ospiti come se li accogliessi a casa tua”. Cosa ricercano i tuoi ospiti dall’esperienza al Boccalino?
In Boccalino, i nostri ospiti cercano tradizione e innovazione allo stesso tempo. Piatti che sono all’ordine del giorno, nella nostra tradizione Italiana, qui in Asia sono visti come specialità, da eseguire a regola d’arte per fare in modo che i nostri ospiti tornino ancora e ancora. I Coreani sono molto orgogliosi dei loro ingredienti local, che sono davvero meravigliosi: dal manzo Hanwoo, alla frutta dolcissima, ai prodotti ittici e preparazioni fermentate quali il famosissimo kimchi, l’ospite coreano ammira il fatto che, prima ancora di cucinare puramente italiano, utilizziamo ingredienti coreani in stile italiano. Perché importare carne italiana per preparare il carpaccio, se in Corea del Sud abbiamo la carne di Hanwoo che e squisita? Valorizzare il territorio rimane la prima regola, a prescindere dal tipo di cibo che si cucina.
Hai vissuto grandi esperienze, sia di ristorazione che di grande hôtellerie. Quali differenze ci sono?
Personalmente preferisco lavorare in hotel, in termini di “guest care”. In un ristorante d’hotel, non solo si ha la possibilità di cucinare per i nostri ospiti, ma allo stesso tempo ci si prende cura di loro offrendo un’esperienza a 360 gradi, fatta di hotel room, spa, gym, e di instaurare un rapporto più profondo. Spesso capita che un ospite decida di cenare in un ristorante diverso da quello italiano, ma che comunque passi da Boccalino per un veloce saluto a me e allo staff. Sono piccole cose che rendono soddisfacente il nostro lavoro.
Tra i riconoscimenti raggiunti, ti sei aggiudicato “Best Western Restaurant of the Year – TimeOut Shanghai 2018” e “Hotel Italian Restaurant of the Year – That’s Shanghai 2019”. Quando lavoro dietro questi riconoscimenti? Pensi che il mercato Coreano sia terreno fertile per uno chef di cucina italiana?
Il mercato Coreano è in continuo fermento, e di certo la cucina italiana è nella top delle cucina più apprezzate qui, al pari di quella Giapponese e Cinese. Il trucco sta nel non essere mai banali e avere sempre una storia e un motivo dietro tutto ciò che si fa al ristorante: dall’arredamento, ai piatti, agli ingredienti, all’ospitalità italiana in sé stessa.
Un segno distintivo della tua cucina.
Avere uno staff motivato e che segua la filosofia del “cucinare per sé stessi”. Ho un team meraviglioso, che condivide con me il pensiero: “if I would eat it, I serve it”. Cucinare per sé stessi e la chiave per non diventare dei “robot” in cucina, continuando a cucinare con passione ed entusiasmo.
Proponete una cucina con un forte richiamo al sud Italia.
In realtà il menù varia in continuazione. Dipende dalle stagioni, dagli ingredienti disponibili, e da quella che è la percezione dei nostri ospiti riguardo il nostro Paese.
In estate, i coreani apprezzano un piatto di crudo di pesce, o una burrata su un carpaccio di pomodori marinati, con più influenze dal Sud italia. In inverno, una guancia di manzo brasato con polenta allo zafferano e salsa gremolata è più nelle loro corde, ricollegandosi alle tradizioni di lunghe e lente cotture del Nord Italia.
L’importante è sempre, come dicevo, spiegare il motivo per il quale cambiamo il menu: le storie dei piatti della nostra tradizione strappano sempre un sorriso ai nostri ospiti. Recentemente, per la stagione del tartufo bianco, abbiamo introdotto gli spaghetti alla chitarra preparati freschi al tavolo dell’ospite. I coreani amano ascoltare la storia dei nostri strumenti in cucina, mentre prepariamo loro gli spaghetti facendoli passare tra i fili della chitarra.
Sei nato a San Giuliano Milanese. C’è uno spunto particolare o influenza nel tuo menu che ti riporta alla tradizione monegasca?
Seppur suoni strano, da Italiano, il buon cibo a casa mia non è mai stata una “priorità”. Ho iniziato a cucinare perché i miei genitori, molto impegnati con il lavoro, non avevano tempo fisico da dedicare alla preparazione di manicaretti. E così, ad un certo punto, io e mio fratello ci siamo messi d’impegno e abbiamo iniziato a studiare. Io cucina, lui pasticceria, entrambi in ALMA.
Pertanto si, mi commuovo davanti ad un bel piatto di ossobuco alla milanese. Mi fa sentire a casa. Ma al contempo, non sono visceralmente legato ad una regione piuttosto che ad un’altra.
Ho lavorato in diverse regioni italiane, ognuna mi ha dato la possibilità di apprezzare la cucina tipica. Pino Cuttaia è un valido esempio del mio attaccamento alla cucina siciliana, per esempio, chef dal quale ho svolto il primo stage ALMA a La Madia.
A un anno dal tuo primo anniversario al Boccalino, rappresenti una certezza del Four Season: quali obiettivi per il futuro?
Al Boccalino ho la possibilità di spaziare e di poter imparare sempre cose nuove, non solo in termini di cucina, ma anche e soprattutto, a questo punto della mia carriera, in termini di management.
Il ristorante è un business, e va trattato come tale. Il cibo e il servizio sono come una costruzione, che la gente vede e apprezza. Un buon management costituisce le fondamenta. Senza un buon management, tutto crolla.
Fortunatamente in questi anni da Head Chef in tre diversi Paesi, Cina, Qatar e Corea del Sud, ho avuto mentori che hanno saputo insegnarmi (e mi insegnano ancora) i diversi aspetti del management, ognuno con il suo stile e priorità.
Il trucco sta nell’attingere da ognuno e creare un proprio stile. Ma non si finisce mai di imparare sul serio.