Doina Paulesco, pastry chef di Osteria Francescana a Modena, è una di quelle persone che parlano con passione di ogni passo del proprio percorso.
Dai primi anni tra fornelli e pasticceria, passando per esperienze all’estero, fino al ritorno in Italia per costruire basi solide con il corso Superiore di Cucina Italiana ALMA, Doina ha sempre seguito il suo istinto e la voglia di scoprire qualcosa di nuovo.
Qual è stato il momento in cui hai capito che la cucina sarebbe diventata la tua vita?
Ho frequentato l’alberghiero, perché ero innamorata di tutto quello che è gastronomia e ospitalità. Però ero indecisa sulla scelta e volevo avere un’infarinatura su tutto: sala, bar, cucina e pasticceria. Dopo tre anni, ho scelto cucina perché era quello che mi riusciva meglio, ma in realtà mi piaceva fare tutto.
Le prime esperienze le ho fatte a Milano, in piccole osterie, muovendo i primi passi nella cucina italiana. Quando entri in una cucina, spesso la prima cosa che ti fanno fare è pasticceria, e a me piaceva moltissimo. Così il mio primo stage a 16 anni è stato proprio in pasticceria. Dopo il diploma, ho fatto un altro stage a 18 anni, sempre in pasticceria. Era quasi destino: studiavo cucina, ma finivo sempre in pasticceria.
Poi sono andata all’estero, in Svezia, dove sono rimasta per un paio d’anni. Volevo fare un’esperienza internazionale, imparare l’inglese e conoscere meglio la cucina nel mondo.
Poi è arrivata ALMA.
Si, mi mancava l’Italia, la cucina italiana, e sentivo che mi mancava una base più solida. Così sono tornata e mi sono iscritta ad ALMA per trovare ciò che mancava, per riuscire e fare di più rispetto a quello che già facevo.
In che modo lavorare con Massimo Bottura ha cambiato il tuo modo di vedere e fare pasticceria?
Ho compreso quella che è la sua visione di pasticceria, e mi ha colpito molto il richiamo alla pasticceria non troppo dolce, quindi l’utilizzo di ingredienti bilanciati. La pasticceria non è mai solo un menù a parte, ma un elemento che completa un percorso, un insieme armonico di piatti. Questa cosa per me era una novità, perché prima di questo ristorante, per me la pasticceria significava zucchero, frolla, marmellata, insomma, una base dolce. Lì, mi si è aperto un mondo.
Cos’ha fatto scattare in te la passione per la pasticceria, pur nascendo come cuoca?
L’ho capito dopo, ma è stato grazie a quello stage e a quel luogo. All’epoca mi sembrava un mondo totalmente separato, io mi sentivo un cuoco, e la pasticceria mi sembrava difficile, quasi irraggiungibile, da capire e a cui accedere, soprattutto a quel livello. Però la pasticceria è tutta una questione di cultura e conoscenza della cucina italiana.
Per Massimo non puoi fare pasticceria senza avere una solida base di cucina. Quindi mi sentivo incompleta: sapevo tanto di cucina, ma mi mancava quest’altra parte. Così ho cominciato a interessarmene sempre più.L’inizio dello stage è stato fondamentale per questo passaggio. Sono stata affascinata sin da subito. Quando lavoravo agli antipasti – sono stata agli antipasti per circa un anno – finivo il mio turno e correvo in pasticceria per dare una mano. Ero curiosa, avevo già capito che quel mondo mi avrebbe attratta sempre più. Poi sono stata fortunata perché durante lo stage ho fatto anche la parte di panetteria. È stata una bella formazione di cinque mesi: ho imparato i primi impasti, toccando con mano gli ingredienti. Lì ho cominciato a capire tutto quello che è una pasticceria di questo livello.
Quali sono stati i tuoi principali punti di riferimento o maestri nel mondo della pasticceria?
Ce ne sono tantissimi. È difficile fare un solo nome perché in questo mestiere ci ispiriamo a tante persone e cose. Prima di arrivare alla Francescana, Massimo Bottura è stato il mio punto di riferimento e una grande ispirazione. Era un sogno, quasi irraggiungibile. Quando ho saputo che sarei andata lì per lo stage, è stato incredibile. L’assegnazione dello stage in ALMA è segreta, il giorno prima dell’estrazione avevo sognato di lavorare al fianco di Massimo e Lara e lo stavo raccontando ai miei compagni quando la mia foto è apparsa sullo schermo in aula e ho scoperto che il sogno stava diventando realtà.
Dove trovi l’ispirazione per creare dessert che lasciano il segno? Ci sono mondi al di fuori della cucina che ti influenzano?
Sì, tantissimo l’arte, la musica e la quotidianità. Mi piace creare piatti legati ai ricordi personali, come il panettone con lo zabaione che mangiavo sempre da bambina.
Ispirato al ricordo di mangiarlo caldo perché tenuto sulla stufa accompagnandolo con uno zabaione, classico eppure pieno di ricordi e emozioni.
Se dovessi descrivere il tuo stile in una frase, quale sarebbe?
Una fusione tra cucina e pasticceria. Mi ispiro spesso a piatti salati, trasformandoli in dolci. Ad esempio, ho fatto una caprese che sembra un piatto salato, ma è dolce. Non vedo la cucina e la pasticceria come mondi separati, ma come discipline complementari. Guardo la tradizione e cerco di trasformarla, non per renderla moderna ma per darle un nuovo punto di vista, una forma diversa, giocando con queste forme, come la “caprese” con salsa di bufala, salsa di pomodoro e basilico, è diventata un dolce. Cerco sempre di lavorare sulla sostenibilità, riutilizzando gli scarti, come il pane.
Far parte di Osteria Francescana significa collaborare con una delle migliori squadre al mondo: qual è il segreto per affrontare questa sfida ogni giorno?
È stimolante: in ogni momento mi sento felice e fiera di ciò che faccio e con chi lo faccio. In Francescana le persone arrivano da ogni parte del mondo, e lavoriamo su piatti che nascono sempre dalla tradizione di culture diverse. Sembra che tutto il mondo venga qui. È un’esperienza unica e gratificante di condivisione per noi, che crediamo che l’unione faccia la forza. Siamo una squadra: insieme stabiliamo gli obiettivi, giochiamo la partita e vinciamo.
Qual è il dessert più complesso e al tempo stesso emozionante che hai ideato per Francescana?
La “Carbonara Dolce” è il risultato di un vero lavoro di squadra.
Abbiamo dedicato 22 giorni a idearla, cercando il giusto equilibrio per un piatto tanto complesso quanto elaborato. Dopo aver trovato il sapore perfetto, ci siamo resi conto che mancava ancora qualcosa: la forma. L’ispirazione è arrivata da un’opera d’arte di Giorgio di Palma, che ci ha guidati verso la creazione di un cono rovesciato, simbolo del modo unico in cui Massimo vede la vita.
Il piatto o un dessert che rappresenta al meglio l’essenza della Francescana e il tuo lavoro?
“Upside down lemon tart”, che è un omaggio all’imperfezione. Credo sia un bel messaggio e rimane iconica.