Cecilia Spurio

CORSO SUPERIORE DI PASTICCERIA DI ALMA

 

 

Come ti sei avvicinata al mondo della pasticceria?

 

Tutto è iniziato dopo la laurea in giurisprudenza, mondo che chiaramente non ha niente a che vedere con spatole e fornelli!
Mi ci sono ritrovata per una scommessa fatta con me stessa. Parlando con un amico viene fuori il nome della scuola ALMA.
La pasticceria è stata per me una valvola di sfogo, un passo fuori dalla realtà. Un’esperienza che mi ha trascinato ancora più a fondo nella mia passione e che oggi ho la fortuna di vivere come mestiere.

 

Nel 2015 scegli ALMA: prima con il corso base, poi con il Superiore di Pasticceria.

 

Scelgo il corso base con una certa dose d’inconsapevolezza. Molti colleghi avevano già avuto esperienze nel mondo della pasticceria, realtà per me quasi sconosciuta. Ma non avrei mai immaginato settimane cosi intense.
Finito il corso base, inizio il Superiore. Una grandissima esperienza, complessa e complementare. Nel 2021 possiamo ancora dire che esiste una Scuola, la quale fa del rispetto del lavoro e dei colleghi, dell’approfondimento della materia, pilastri del proprio insegnamento. Una preparazione a quello che poi sarà il mondo del lavoro.

 

Tra le prime esperienze che ti hanno lanciato nel mondo dell’Alta Cucina, il Mudec di Enrico Bartoloni, tre stelle Michelin.

 

Enrico Bartolini al Mudec è stato il mio primo vero approccio al mondo della ristorazione. Sapevo che molte cose le avrei capite dopo, e devo dire che così è stato. L’esperienza al Mudec è stata straordinaria e difficile. Mi ha insegnato molto, anche su di me. È stato un continuo mettermi alla prova, sia con le mie capacità ma anche e soprattutto con i miei limiti.

 

Nel 2018, arriva un grande riconoscimento: sei stata inserita nella guida “Pasticceri&Pasticcerie” del Gambero Rosso.

 

Ricevere questo riconoscimento per me ha significato essere arrivata al giro di boa, in un certo senso. Avevo accumulato significative esperienze in poco tempo e la Francia ci è sembrato subito un ottimo passo avanti. Parlo al plurale perché artefice di questa avventura è il mio compagno Eugenio. Il riconoscimento mi ha spinto in avanti, mi ha fatto spostare l’asticella un po’ più in alto. Queste due realtà si sono incrociate nella mia vita, in modo tale da farmi credere che forse non tutto è impossibile.

 

Cecilia Spurio, Sous-chef patissière nel ristorante Guy Savoy in laboratorio

Poi voli in Francia, al Restaurant Pierre Gagnaire. Un sogno per te.

 

Atterro nel Ristorante Pierre Gagnaire, *** Michelin, al 6 rue Balzac di Parigi. L’esperienza più straordinaria in assoluto.
Un anno e mezzo di emozioni e crescenti responsabilità. Prima le mignardises, poi la cioccolateria ed infine la carta. In pasticceria servivamo, con il menu degustazione, una media di cinque tapas sucrée a cliente tutte allo stesso tempo.
È stato come immergermi in  una costellazione di sapori.
Ho imparato l’organizzazione che c’è dietro un pensiero e l’importanza della cromaticità, del bello, dell’emozione. La creatività è davvero complessa ed è sempre portatrice di un messaggio. Pierre Gagnaire è oltre che un grande chef, una grande persona. Ancora oggi dietro ai fornelli, ad insegnare con amore e dedizione. Un visionario della cucina attuale.

 

Ora sei in brigata al Guy Savoy, *** Michelin tra i più rinomati di Parigi.

 

Si, ora sono sous-chef patissière nel ristorante Guy Savoy à la Monnaie di Parigi.
La tipologia di cucina che offriamo ha un timbro marcatamente francese.
In pasticceria, insieme allo Chef, formuliamo dessert in linea con il menu e la stagionalità. Siamo fedeli a quel lato definito “gourmandise francese” che caratterizza la cucina di Monsieur Savoy. La Millefoglie alla vaniglia è soffice e abbondante, con una dose di crema aggiuntiva, per degustarla sino all’ultimo boccone. Si può essere eleganti anche nell’abbondanza, nella classicità.

 

Cecilia Spurio, l'idea di pasticceriaParigi capitale della Moda e della Pasticceria: due mondi vicini, per forme ed estetica.

 

Parigi e la moda. Due culture che si rincorrono ma alla fine l’arte è anche questo: seguire il bello, che sia in un abito o un dessert.
Molti chef hanno preso ispirazione in questo senso: che sia un’istallazione, un profumo, un colore, e perché no una moda, più in generale. Basti pensare al Dripping di pesce del grande Marchesi, piatto iconico di quel periodo in cui il bello inizia a far parlare di sé in cucina. Io personalmente mi focalizzo sul gusto, e sull’intensità, ben venga se dietro c’è il richiamo all’estetica. Ma che non diventi il fulcro del dessert.

 

 

L’Alta Cucina è un sogno che si realizza. Ma nasconde molte difficoltà.

 

È un mondo stimolante ed inebriante quello della ristorazione e nello specifico quello della cucina. Tanti sacrifici, orari difficili e una vita sociale che delle volte non tiene il passo di quella lavorativa. Credo che sia importante mostrare anche questo aspetto, lasciando da parte l’idea dello chef da tv, del cuoco multitasking che riesce ad essere capo di una brigata e allo stesso icona pubblicitaria, protagonista nelle giornate di shooting, influencer tutto allo stesso tempo. Non operiamo di certo a cuore aperto, ma quello che facciamo richiede tempo, studio e dedizione.  La cura del dettaglio, la velocità, l’organizzazione ottimale, sono tutte cose che si allenano con concentrazione, osservazione e continuità.

 

Se potessi tornare indietro nel tempo, cambieresti qualcosa del tuo percorso?

 

Può sembrare retorico ma rifarei tutto quello che ho fatto: partendo da ALMA, passando per Enrico Bartolini, il Marriot Hotel, la Pasticceria Muzzi di cui ho un bellissimo ricordo, Igles Corelli dove ho conosciuto il mio compagno. Per passare a Pierre Gagnaire, esperienza dalla quale ho conservato il lato creativo e la possibilità di dar vita ad abbinamenti audaci senza tracciare forzatamente una linea tra la pasticceria e la cucina. Infine il Guy Savoy alla Monnaie, dal quale ho appreso molto a livello gestionale ed organizzativo di brigata.