Andrea Bertini, chef di “Casa Bertini”, giovane e talentuoso cuoco che ha deciso di tornare alle sue radici per aprire il proprio locale nella sua città natale, a Recanati.
Dopo una formazione presso l’Istituto Alberghiero di Loreto e diverse esperienze in trattorie e ristoranti della zona, Andrea ha perfezionato le sue abilità in ALMA, al corso Superiore di Cucina Italiana.
Casa Bertini, nuovo ristorante della Guida Michelin Italia 2023: che valore ha questo riconoscimento per te?
È un riconoscimento gratificante, ma allo stesso tempo una piacevole sensazione di responsabilità.
Un riconoscimento personale per te e la tua brigata, ma anche per la tua città di origine, Recanati.
Siamo partiti a Marzo del 2022, con un disegno ben chiaro in testa.
Da recanatese Doc sono molto orgoglioso di far parlare della mia Recanati attraverso il servizio che offriamo.
Questo riconoscimento mi rende felice, ma penso sempre a fare del mio meglio e voglio evolvermi ogni giorno sempre di più, quindi: “bello il riconoscimento ma dobbiamo guardare avanti e migliorare sempre!”.
Sono contento per i ragazzi che sono con me perché ci mettono tanto impegno e passione e questi riconoscimenti ti aiutano a crederci ancor di più e ti danno energia da reinvestire.
La Guida Michelin cita “Ai fornelli un giovane e bravissimo cuoco, che rilegge le tradizioni marchigiane(…)insieme a qualche ricordo della sua esperienza piemontese.”: raccontaci la tua idea di cucina.
Sono un amante della cucina tradizionale italiana in generale e più nello specifico di quella marchigiana la mia terra natale.
Nel momento però di redigere il menù del mio ristorante, non sono riuscito a dimenticarmi gli anni passati in Piemonte.
Ho deciso di valorizzare la mia esperienza, fondendola con quella della mia terra di origine. È stato bello e semplice perché veniva tutto da sé.
L’eleganza, la purezza, l’estetica della cucina piemontese unita ai sapori genuini, frizzanti e popolari della cucina Marchigiana, un connubio che mi ha affascinato e intrigato fin da subito. Mi piace la cucina concreta, minimal e di gusto deciso, con piatti che possano raccontare una storia.
Il piatto simbolo del tuo menu.
Decisamente il Plin di pollo in potacchio.
Il potacchio è una preparazione tipica marchigiana, una sorta di brasatura prevalentemente utilizzato per insaporire carni bianche da cortile e talvolta anche il pesce. Nasce con vino bianco, aglio e rosmarino, poi nel tempo si evolve in una preparazione arricchita con pomodoro e olive.
Quella che utilizziamo noi è la versione arricchita, come farcia del raviolo del Plin, tipico formato di pasta piemontese.
Ho scelto questo piatto perché sono molto legato alle mie radici marchigiane che si esprimono benissimo in una preparazione popolare e identitaria come il potacchio. Avvolta da questo formato di pasta molto elegante e bello, ma anche pratico raccoglitore di sugo, piemontese. Racconta perfettamente la mia storia.
L’elemento gastronomico al quale sei maggiormente legato.
Sono materico, ma in realtà più che un prodotto, direi qualcosa di tecnico: la reazione di Maillard in tutti i suoi utilizzi, dal dolce al salato se gestita correttamente riesce ad elevare una materia e caratterizzarla in maniera identitaria, per mezzo e grazie al nostro know-how.
Parliamo di origini: hai sempre desiderato la carriera da chef?
Mi sono innamorato della cucina fin da piccolissimo, nella mia famiglia i pranzi insieme erano tradizioni molto rispettate che tutt’ora coltiviamo con passione. Quello che mi ha colpito della cucina è il potere conviviale che sprigiona.
Ho iniziato a lavorare come stagista nelle cucine quando ancora avevo 13 anni.
Ho avuto la fortuna di imparare già da subito da grandissimi chef, e da brigate con dei capi-partita che oggi sono degli importanti chef come Salvatore Bianco o Giuseppe Amato.
Fino all’età di 25 anni ho continuato a esercitare le mie due grandi passioni, la cucina e lo sport, senza mai volerne escludere una.
Poi però è emersa la voglia di realizzare qualcosa di mio, nonostante avessi già alle spalle delle belle esperienze, ho deciso di fare ALMA, approfondire molto gli studi della cucina, ed affinarli in ristoranti come quello di Davide Palluda (di cui sono rimasto lavorativamente parlando innamorato), e di Mauro Uliassi (un genio infinito), fino ad aprire il mio ristorante.
Tornando indietro nel tempo, al 34 Superiore di Cucina Italiana: quali ricordi, esperienze porti con te?
Ho intrapreso ALMA all’età di 26 anni e con esperienze in parecchi ristoranti, ma l’anno trascorso tra Colorno e lo stage è stato senza dubbio uno dei più belli e formativi della mia vita.
Ho dei ricordi meravigliosi, ho imparato tantissime cose ma tante altre ne sto imparando.
Come se ALMA fosse un lento rilascio di nozioni e “segreti” che ti aprono continuamente porte e frontiere nel tempo. Da Marchesi, a ogni singolo chef o professore ho dei ricordi stupendi.
Un consiglio per i futuri Diplomati.
ALMA è un seme e va coltivato nel tempo.
Usciti dalla scuola la piantina inizia a crescere, ma ha bisogno di tempo e deve confrontarsi con un mondo differente. Ci vuole, pazienza, consapevolezza, curiosità, passione e tanta umiltà, ALMA non è la fine di un percorso ma solamente l’inizio.