Paolo Lopriore e Paolo Marchi: La nuova cucina italiana

2 Giugno
In quale direzione si sta evolvendo il movimento gastronomico italiano? Quali saranno le nuove sfide da affrontare? L’approccio del cliente come si è evoluto?

 

Una riflessione a più voci quella che sta caratterizzando questi appuntamenti e che nella cornice di Parma City of Gastronomy Festival ha visto confrontarsi Paolo Lopriore, chef del ristorante Il Portico di Appiano Gentile (CO), Paolo Marchi, giornalista e ideatore di Identità Golose, Riccardo Monco, chef del ristorante Enoteca Pinchiorri di Firenze, Isabella Potì, chef pasticcera del ristorante Bros’ di Lecce, Masaki Kuroda, chef del ristorante Serendepico di Capannori (LU), Cristina Conti del ristorante Parizzi di Parma e Luca Govoni, docente di Storia e Cultura della cucina italiana presso ALMA.

Di seguito un estratto dell’intervento di Luca Govoni, sintesi perfetta dei concetti emersi durante il confronto.

A scuola avviene la spiegazione delle linea gastronomica, ovvero la spiegazione di come si eseguono le ricette. L’interpretazione arriva in una fase successiva, prima bisogna imparare a eseguire. Penso a quella frase che c’è sul Palazzo della Civiltà a Roma “Italia popolo di naviganti, di eroi di pensatori”, qualcuno aggiunge anche di ingenui, noi potremmo aggiungere di cuochi quest’oggi perché in fondo esistono tante identità italiane.

Mi riallaccio a quanto detto da Paolo Lopriore riguardo alla geolocalizzazione del gusto che trovo un concetto vero che conferma come la diversità sia il nostro valore. Credo che nella storia e nell’evoluzione delle ricette, nel passaggio suggerito da Paolo Marchi tra tradizione e innovazione, ci sia una sorta di nodo gastronomico. Infatti la collettività o un singolo, nell’evoluzione della storia, sono in grado di stringere un nodo da marinaio attorno alla tradizione.

Siamo fortemente legati alla tradizione ma non siamo disposti a rinunciare all’innovazione. La nostra storia insegna che senza lo scambio il nostro Paese sarebbe molto più povero. La storia sembra ripetersi con ciclicità ma con una visione sempre nuova, come una sorta di spirale. Il tema della tavola circadiana, cioè di una cucina che ogni giorno possa essere unica e irripetibile, così come la diversa sensibilità del nostro palato durante l’arco di una singola giornata, dimostra che la tavola sia legata al giorno stesso, a questioni locali pur senza avere alcun vincolo al prodotto locale ma che sia anzi disposta ad aprirsi a qualsiasi prodotto o tecnica proveniente da tutto il mondo.

Tornando al Palazzo della Civiltà non a caso siamo un popolo di naviganti, scopritori, eroi, poeti e pensatori, perché in fondo siamo andati sempre a cercare il nuovo in tutto il mondo per poi farlo nostro. Questa è stata un po’ la storia dell’Italia e credo che la cucina stia ripetendo sostanzialmente la stessa cosa.

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